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Nel sistema attuale, se un’economia rallenta la sua crescita, la disoccupazione aumenta; diminuisce il potere di acquisto e la fiducia dei consumatori, scende la domanda di beni e nonostante si consumino meno risorse a vantaggio dell’ambiente, diminuiscono redditi e investimenti. L’economia entra in recessione, il che mette a dura prova le finanze pubbliche, proprio quando i ricavi dalle tasse scendono, i costi sociali salgono a causa della disoccupazione. I governi devono chiedere più prestiti per stimolare la domanda, aumentando così il debito pubblico. Il costo del debito pubblico quindi aumenta in un’economia in declino, gli interessi sul debito rappresentano una percentuale sempre maggiore del reddito nazionale e così l’intera nazione deve lavorare prioritariamente per ripagare il debito, perlopiù estero. Non c’è resilienza in questo sistema. Quando un’economia vacilla, i meccanismi che contribuivano alla crescita lavorano nella direzione opposta, in un circolo vizioso.

Con una popolazione globale in crescita e che nel mondo occidentale sta sempre più invecchiando, servono livelli sempre più alti di crescita economica per mantenere gli stessi livelli individuali dei redditi e compensare gli aumenti dei costi sociali e della sanità. Cosa che non può avvenire per sempre: e infatti già dal 2002, anno di ingresso dell’Italia nell’Euro, non sta più accadendo. Il modello capitalista attuale non è sostenibile e non rimane in equilibrio nel lungo periodo: la sua dinamica interna lo spinge verso l’espansione o verso il collasso. Ci ritroviamo in momento storico in cui il prezzo del petrolio continua ad aumentare, i prezzi dei beni salgono, il degrado dell’aria, acqua, foreste e suolo causano conflitti per l’utilizzo delle risorse e il problema di stabilizzare il clima globale si scontrano con un’economia fondamentalmente rotta.